GW: Montelupo / Racconta. “Siamo fuori?” di Aglaia Viviani

Citazione tratta dall'articolo

Eccola, Montelupo.
Ha resistito, e sta continuando a resistere, malgrado stia affrontando una prova durissima.
Ha resistito grazie ai giovani che hanno portato la spesa ai nonni barricati in casa; grazie ai piccoli esercenti che – rimanendo aperti – hanno consentito ai montelupini di non dover dipendere solo da quelle stranianti, disumane code col carrello fuori dai supermercati. Ha resistito grazie all’impegno dell’amministrazione, del volontariato, e soprattutto grazie al senso di responsabilità delle persone.
Ha resistito grazie al fatto che ci siamo sentiti comunità, non monadi sperdute. E, forse, ha resistito anche grazie a chi Montelupo ha voluto raccontarla e ricordarla.
Abbiamo imparato a non dare niente per scontato: a cominciare dalla libertà personale. La mancanza, la privazione temporanea di luoghi e relazioni, hanno ridisegnato i nostri confini come individui e come società.
Molti di noi hanno pianto, rivedendo, dopo due mesi, posti che sono noi stessi, la nostra identità: il lungopesa, il Castello, i bar che hanno faticosamente riaperto. Molti di noi hanno pianto rivedendo quegli amici che sono iper-famiglia, gli affetti più stabili della vita. I bambini, confinati in microappartamenti senza giardino e senza balcone, sono finalmente usciti al sole, pallidi e increduli. I runners corrono di nuovo, senza la paura di essere additati come untori irresponsabili. I cimiteri e le chiese hanno riaperto i battenti.
Eppure le scuole sono ancora chiuse.
Eppure molti stanno perdendo il lavoro, la crisi economica è la peggiore dal 1929.
Eppure c’è stato un picco di violenza domestica, e un innalzamento del tasso dei suicidi; siamo incattiviti e diffidenti.
Uscendo cauti dalle nostre case, ci siamo accorti che il mondo non è quello di “prima”. E noi non siamo quelli di “prima”, quelli che credevamo di essere: come il Titanic con l’iceberg, relazioni che sembravano inaffondabili sono state spezzate dall’impatto con l’emergenza covid-19, altre sono decisamente ammaccate, altre ancora sono diventate più forti.
Il diario collettivo di Montelupo ai tempi del coronavirus fotografa fasi ed emozioni, positive e negative, di questo periodo storico: con la voce corale del paese più bello del mondo, il nostro. Abbiamo scelto di non operare censura – nei limiti di legge – su queste pagine, accettandone i rischi. Il genere letterario “diario” (a differenza del racconto retrospettivo) possiede la peculiarità di presentare emozioni e pensieri non mediati dal tempo: è una sorta di “sfogo” per sua natura immediato. Manca un altrimenti indispensabile “filtro” fra il momento della scrittura e quello della fruizione.
Dal diario collettivo risultano una serie di voci, che si intrecciano e diventano coro – una policromia vivace e ardita, unica, simile a quella delle nostre ceramiche – a cristallizzare quanto è avvenuto: il “prima” spazzato via in un giorno dall’inizio della quarantena, quando credevamo che sarebbero bastate due settimane per salvarci tutti, ed era facile essere “buoni” e solidali; gli hashtag ingenui e speranzosi; il grande momento dei balconi; i riti individuali e collettivi, dai tutorial su youtube (di cucina, ginnastica, bellezza, fai-da-te), agli scaffali saccheggiati dei supermercati, le code fuori dai negozi; fino alla comparsa delle prime mascherine. Lo smart working e la didattica a distanza a scandire le ore. La frustrazione crescente, gli ansiolitici a pioggia, l’ago della bilancia in salita; l’insonnia collettiva, le tinture per capelli introvabili o sbagliate.
“Nessuno si salva da solo”, ha detto il Papa (molto citato in queste pagine, insieme ad autori quali Pavese e De André), solo sotto il diluvio notturno, un’icona destinata a restare. La vita non è solo quella biologica: per salvare la vita nella sua interezza, farmaci, vaccini, e gli imperativi della medicina, non bastano. In questo contesto, davvero sentirsi parte di un luogo-famiglia, in cui ancora siamo capaci di sorriderci, di darci una mano a vicenda, di riconoscerci (malgrado i dispositivi protettivi in cui siamo paludati), di preoccuparci e prenderci cura gli uni degli altri, ha fatto la differenza.
E continuerà a farla, la differenza, se vogliamo risollevarci e reinventarci.
Perché il bello comincia fuori, ora.

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